Lettera a Tito 2:1-15
Note in calce
Approfondimenti
sano O “benefico”. (Vedi approfondimento a 1Tm 6:3.)
Gli uomini d’età avanzata Paolo qui usa il termine greco presbỳtes, che nelle Scritture Greche Cristiane denota uomini fisicamente anziani, uomini d’età avanzata. (Vedi anche Lu 1:18; Flm 9.) Questo termine è affine alla parola greca che Paolo ha già usato in questa lettera quando ha detto a Tito di “[fare] nomine di anziani [presbỳteros] di città in città” (Tit 1:5; vedi approfondimento ad At 11:30). Comunque qui il contesto indica che Paolo si rivolge a tutti gli uomini cristiani che sono avanti con gli anni, sia che servano come anziani di congregazione oppure no. Tant’è vero che subito dopo dà consigli a gruppi che appartengono a fasce d’età diverse, come ad esempio alle “donne d’età avanzata” e ai “giovani” (Tit 2:3-6).
moderati O “di abitudini moderate”. (Vedi approfondimento a 1Tm 3:2.)
seri Vedi approfondimento a 1Tm 3:8.
assennati Vedi approfondimento a 1Tm 3:2.
saldi nella fede, nell’amore, nella perseveranza Il termine greco reso “saldi” fa in realtà riferimento alla salute fisica, e potrebbe quindi essere tradotto letteralmente “sani” (Lu 5:31). Comunque qui Paolo lo usa in modo figurato. Traendo spunto dal campo medico, incoraggia “gli uomini d’età avanzata” a rimanere in buona salute spirituale.
Allo stesso modo, le donne d’età avanzata Paolo fa capire che, come “gli uomini d’età avanzata” di cui ha appena parlato, anche le cristiane mature hanno un ruolo importante nella congregazione. Per esempio “le donne d’età avanzata” possono esercitare un’influenza positiva sulle giovani (Tit 2:2, 4, 5). A Creta le famiglie vivevano in un contesto sociale moralmente degradato; in più c’erano falsi maestri che continuavano a “sovvertire intere famiglie” (Tit 1:11, 15, 16). Ecco perché Paolo fa appello alle donne mature affinché siano d’aiuto nel rafforzare le famiglie cristiane.
abbiano un comportamento riverente Il termine greco per “riverente” veniva usato in scritti extrabiblici in riferimento a sacerdoti e altri che “svolgevano mansioni sacre”. In questo versetto trasmette l’idea di agire mostrando profondo rispetto nei confronti di Dio. (Confronta 1Tm 2:10.) Il termine greco reso “comportamento”, invece, in questo contesto pone l’accento su azioni che scaturiscono direttamente dall’atteggiamento di una persona. Le donne cristiane di cui parla Paolo devono ricordare che nella vita di tutti i giorni il loro modo di agire e il loro atteggiamento dovrebbero essere in armonia con le sacre norme di Geova.
non siano calunniatrici Paolo desidera che le donne cristiane d’età avanzata diano l’esempio evitando che le loro conversazioni scivolino nel pettegolezzo e nella calunnia (Sl 15:3; 1Tm 3:11; vedi approfondimento a 2Tm 3:3). Dice anche che non dovrebbero essere schiave di molto vino. Quando si beve troppo, infatti, spesso uno dei pericoli è quello di parlare in modo avventato, il che potrebbe portare alla calunnia (Pr 20:1; 23:33).
maestre di ciò che è bene Questa espressione mette in risalto il nobile ruolo che le donne d’età avanzata hanno nella congregazione. In un’altra lettera Paolo scrisse che le donne non possono essere nominate insegnanti nella congregazione, dato che Dio ha affidato questo ruolo agli anziani (1Tm 2:12; vedi approfondimenti a 1Tm 2:11). Nel contesto di questo versetto, però, Paolo mostra che le donne cristiane possono insegnare ad altri in modi incisivi; nel ministero e in contesti informali e privati, insegnano con le parole e con l’esempio. Così facendo possono esercitare un’influenza positiva notevole.
per consigliare alle giovani Il verbo greco qui reso “consigliare” può anche essere tradotto “rendere saggio”, “far rinsavire”. È affine ad altri termini contenuti in questa lettera e resi “assennato” (Tit 1:8; 2:2, 5, 6). Un lessico spiega che questo verbo implica insegnare ad altri a essere prudenti, a comportarsi in modo appropriato e ad avere buon senso. Le donne d’età avanzata possono dare questa amorevole guida alle giovani con il loro esempio e con consigli tratti dalle Scritture. Paolo confidava nel fatto che queste sorelle fedeli avrebbero tenuto in considerazione i princìpi che lui stesso, ispirato da Dio, aveva messo per iscritto riguardo al rispettare la dignità e la privacy degli altri (1Ts 4:11; 1Tm 5:13).
amare i mariti Questa espressione traduce un unico termine greco che spesso veniva usato per tessere le lodi di una buona moglie. L’apostolo Paolo non parte dal presupposto che una moglie ami automaticamente il marito. Nella scelta del coniuge, molte donne dei suoi giorni avevano poca o nessuna voce in capitolo. Ecco perché per alcune di loro poteva essere difficile coltivare amore per il marito.
amare i figli Questa espressione, come quella precedente (“amare i mariti”), traduce un unico termine greco che spesso veniva usato per tessere le lodi di una buona moglie. Il consiglio di Paolo è la dimostrazione del fatto che il naturale amore materno può essere coltivato e reso più forte. Le donne d’età avanzata potevano contribuire a rafforzare le famiglie della congregazione consigliando alle madri più giovani di continuare a dare ai propri figli l’amore e la guida di cui avevano bisogno (2Tm 1:5; 3:14, 15).
aver cura della casa O “essere operose in casa”. Ai giorni di Paolo, le donne, fatte alcune eccezioni, di solito si occupavano delle faccende domestiche. L’apostolo, comunque, non sta dicendo che le attività di una donna debbano limitarsi all’ambito casalingo. Questo sarebbe in contrasto con quello che dicono le Scritture (Pr 31:10-31; At 18:2, 3). Utilizzando questa espressione, Paolo fa capire che prendersi cura della propria famiglia è un compito importante e necessario. Le donne cristiane che trascurano di farlo metterebbero in cattiva luce la congregazione e il messaggio. Paolo potrebbe aver usato l’espressione “aver cura della casa” per fare un contrasto con le attività inutili con cui alcune donne occupavano il tempo (1Tm 5:13, 14). Geova ha dato sia agli uomini che alle donne responsabilità importanti in relazione al prendersi cura della famiglia (1Tm 5:8 e approfondimenti).
sottomesse ai loro mariti Vedi approfondimento a Col 3:18.
Così non si parlerà in modo offensivo della parola di Dio Paolo ha appena indicato come le donne cristiane possono comportarsi in modo appropriato nella vita di tutti i giorni. Ora ne spiega il motivo: se queste dessero un cattivo esempio, chi non è cristiano potrebbe parlare in modo critico della “parola”, o messaggio, di Dio, e dire che il messaggio cristiano non produce belle qualità. Le donne che invece si comportano in modo appropriato danno onore a Dio e al suo messaggio, e magari possono anche indurre alcuni a diventare cristiani (1Pt 2:12; vedi approfondimento a Col 3:8).
Continua a esortare [...] i giovani Mentre nel v. 1 si legge “continua a parlare”, nel testo originale di questo versetto Paolo usa un verbo più forte, tradotto “continua a esortare”, che nel contesto significa “persuadere con autorità”. (Vedi approfondimento a Ro 12:8.) Tito, comunque, non doveva esercitare la sua autorità in modo duro o aspro; doveva essere “un esempio di opere eccellenti” per i giovani (Tit 2:7). Il tempo del verbo usato da Paolo, inoltre, indica che Tito doveva dare le sue esortazioni non una volta sola ma in modo continuativo. Ecco perché il verbo è reso “continua a esortare”.
assennati Vedi approfondimento a 1Tm 3:2.
parole sane e inattaccabili Il termine greco reso “sane” si potrebbe anche tradurre “benefiche”. È interessante, però, che Paolo aggiunga “inattaccabili”; questo perché anche parole usate in modo perfetto potrebbero essere oggetto di critiche (Gv 6:58-61), ma non di critiche fondate. Il buon esempio che Tito avrebbe dato con il suo modo di parlare avrebbe prodotto effetti positivi sulla congregazione, forse addirittura svergognando gli oppositori.
Gli schiavi siano sottomessi ai loro padroni Alcuni potrebbero pensare che con queste parole Paolo volesse approvare o sostenere la schiavitù. L’apostolo, però, si stava limitando a prendere atto di una realtà dei suoi giorni, realtà che i cristiani non potevano cambiare. È vero che in 1Co 7:21 aveva detto espressamente agli schiavi cristiani che, se avevano legalmente la possibilità di diventare liberi, dovevano approfittarne, ma non tutti potevano farlo. Quindi qui Paolo li esorta a essere coscienziosi e a dare onore a Geova con il loro comportamento. (Vedi approfondimenti a 1Tm 6:1.)
non rubando Il verbo che compare nell’originale non è quello più comunemente utilizzato per “rubare”. Letteralmente significa “mettere da parte per sé”, ma potrebbe anche trasmettere l’idea di “appropriarsi indebitamente di denaro” o “sottrarre qualcosa”. Questo stesso verbo ricorre nell’episodio relativo al peccato di Anania, riportato in At 5:2, 3, dove è reso “trattenne segretamente”. Nella Settanta è usato in Gsè 7:1 per descrivere ciò che fece Acan quando prese indebitamente per sé qualcosa che apparteneva a Geova. Un’opera di consultazione spiega che ai giorni di Paolo molti schiavi “avevano il compito di fare acquisti, e spesso venivano affidate loro grosse somme di denaro”. Per questo motivo potevano avere la tentazione di derubare i loro padroni. Gli schiavi cristiani, che resistevano a questa tentazione, dimostravano di essere completamente affidabili. (Vedi approfondimento a Ef 4:28.)
rendere [...] ancora più attraente l’insegnamento Lett. “adornare l’insegnamento”. Il verbo greco che compare in questa espressione viene usato anche per riferirsi alle pietre preziose che ornavano il tempio di Erode, alle attraenti qualità che le donne cristiane dovrebbero coltivare e alla bellezza della Nuova Gerusalemme (Lu 21:5; 1Tm 2:9; 1Pt 3:5; Ri 21:2). Come indica qui Paolo, i cristiani hanno la possibilità di rendere evidente la bellezza del messaggio di Dio. Gli schiavi cristiani che rispettavano i padroni e ubbidivano loro potevano rendere ancora più attraenti gli insegnamenti della Bibbia. Agli occhi di un osservatore esterno era lampante la differenza tra uno schiavo cristiano e uno che invece aveva la reputazione di pigro, di polemico e probabilmente di essere ladro.
nostro Salvatore, Dio Vedi approfondimento a 1Tm 1:1.
immeritata bontà Vedi Glossario.
portando [...] la salvezza Vedi approfondimento a 1Tm 2:4.
ogni tipo di persona Vedi approfondimento a 1Tm 2:4.
ci insegna Il soggetto di questo verbo è l’“immeritata bontà di Dio”. Provvedendo il sacrificio di riscatto di Cristo Gesù, che porta “la salvezza a ogni tipo di persona”, Geova Dio ha dimostrato all’umanità la grandezza del suo amore e della sua immeritata bontà (Tit 2:11; Ef 1:7; 2:4-7). Come dice Paolo, questa bontà “insegna” ai discepoli di Cristo: li guida e li motiva (2Co 5:14, 15). Dopo aver imparato quello che Geova ha fatto per lui, infatti, il cristiano desidera vivere in un modo che Gli è gradito. Per esempio impara a respingere i desideri sbagliati e le caratteristiche negative della personalità tipici dell’“attuale sistema di cose” governato da Satana. (Vedi approfondimenti a Ef 2:2.) Inoltre si impegna a sviluppare qualità positive come assennatezza, giustizia e devozione a Dio. (Vedi approfondimenti a 1Tm 3:2; 4:7.)
empietà Per una trattazione del termine “empietà”, che è il contrario di “devozione a Dio”, vedi approfondimento a Ro 1:18.
devozione a Dio Per una trattazione dell’espressione “devozione a Dio”, vedi approfondimento a 1Tm 4:7; vedi anche approfondimento a 1Tm 2:2.
attuale sistema di cose O “attuale era”, “attuale epoca”. (Vedi approfondimento a 1Tm 6:17 e Glossario, “sistema/i di cose”.)
la felice speranza Come spiega un’opera di consultazione, nella Bibbia il concetto di speranza racchiude l’idea di una “fiduciosa attesa di qualcosa che sicuramente si realizzerà”. Paolo qui si riferisce alla speranza che alcuni esseri umani nutrono di essere risuscitati come creature spirituali immortali e di regnare con Gesù Cristo nel “suo Regno celeste” (2Tm 4:18; Ri 5:10). Questo Regno porterà grandi benedizioni ai suoi sudditi sulla terra, offrendo loro la possibilità di vivere per sempre. Tutto ciò è fonte di felicità per chi attende l’adempimento delle promesse che solo il “felice Dio” può realizzare (1Tm 1:11). Qui in Tit 2:13 invece di “felice speranza” alcune Bibbie traducono “beata speranza”. Entrambe le rese mettono in risalto il fatto che chi nutre queste speranze gode del favore di Dio. (Confronta approfondimento a Mt 5:3.)
la gloriosa manifestazione Per come è usato nelle Scritture, il termine greco per “manifestazione” (epifàneia) fa riferimento all’evidenza tangibile e concreta di qualcosa; può anche riferirsi a una dimostrazione di autorità o potenza. (Vedi approfondimento a 1Tm 6:14.) Qui Paolo collega questo tipo di manifestazione alla realizzazione della “felice speranza”. Per i cristiani unti con lo spirito questa speranza include la risurrezione in cielo, dove regneranno con Cristo. La Bibbia indica che la risurrezione celeste non sarebbe avvenuta fino alla “presenza del Signore” Gesù (1Ts 4:15-17). Anche tale risurrezione fa parte della “gloriosa manifestazione del grande Dio e del nostro Salvatore Gesù Cristo”. Con il sostegno di Dio, Gesù è reso manifesto, ovvero si rivela, e ricompensa i cristiani unti che sono morti.
del grande Dio e del nostro Salvatore Gesù Cristo Qui Paolo parla della “gloriosa manifestazione” sia di Dio che di Gesù Cristo. Di solito, però, il termine “manifestazione” viene usato solo in riferimento a Gesù (2Ts 2:8; 1Tm 6:14; 2Tm 1:10; 4:1, 8). Quindi alcuni studiosi sostengono che questo versetto si riferisce a una persona sola e rendono l’espressione così: “del nostro grande Dio e Salvatore, Gesù Cristo”. Vedono pertanto in questo versetto la prova che le Scritture ispirate parlano di Gesù come del “grande Dio”. Comunque molti studiosi e traduttori della Bibbia riconoscono che questa espressione può appropriatamente essere resa come fa la Traduzione del Nuovo Mondo, che la riferisce a due persone distinte. (Per alcune argomentazioni a sostegno di questa resa, vedi Bibbia con riferimenti, App. 6E, “Del grande Dio e del Salvatore nostro Cristo Gesù”.)
liberarci Lett. “riscattarci”, “redimerci”. Il verbo greco veniva usato a proposito di schiavi o di prigionieri di guerra liberati a seguito del pagamento di un riscatto. Lo stesso verbo compare in 1Pt 1:18, 19, dove viene detto che i cristiani sono stati “liberati [o “riscattati”, “redenti”, nt.]” grazie al “sangue prezioso” di Cristo. (Vedi anche approfondimento a Mt 20:28.)
ogni tipo d’illegalità La Bibbia dice che ogni tipo di “peccato è trasgressione della legge [“è illegalità”, nt.]” (1Gv 3:4). L’illegalità, però, include non solo delle azioni peccaminose ma anche la sprezzante indifferenza per le leggi di Dio. (Vedi approfondimento a Mt 24:12.) Ovviamente Paolo sapeva che i cristiani, in quanto imperfetti, non erano del tutto liberi dal peccato (Ro 7:19-23). La loro vita però era cambiata e non ignoravano più le giuste norme di Dio. Grazie al ruolo sacerdotale di Gesù, quei cristiani avevano le leggi di Geova “nel loro cuore [e] nella loro mente” (Eb 10:14-16; Ro 7:25; 8:2, 4; Tit 2:12). In questo modo erano stati “[liberati] da ogni tipo d’illegalità”.
un popolo che gli appartiene in modo speciale Grazie al “sangue prezioso” del sacrificio di riscatto, i discepoli di Cristo sono stati purificati e “liberati” (1Pt 1:18, 19; Eb 9:14). È per questo motivo che possono essere definiti “un popolo che gli appartiene in modo speciale”. Secondo un lessico, il termine greco usato da Paolo, qui reso “gli appartiene in modo speciale”, può includere l’idea di essere “un bene prezioso e un tesoro del tutto singolare”. L’espressione richiama quello che Geova aveva detto all’antica nazione di Israele: “Diventerete fra tutti i popoli la mia speciale [o “preziosa”] proprietà” (Eso 19:5; vedi anche De 7:6; 14:2). A partire dalla Pentecoste del 33, Geova si è scelto una nuova “nazione” sulla terra, “l’Israele di Dio”, “un popolo acquistato come speciale proprietà” (1Pt 2:9, 10; Gal 6:16 e approfondimento). Di conseguenza si può dire che i cristiani unti con lo spirito sono “un popolo che [...] appartiene in modo speciale” sia a Geova Dio sia a Gesù Cristo. Comunque il termine “popolo” usato qui non si riferisce solo ai cristiani unti; include anche le “altre pecore” di Gesù, che li sostengono con zelo (Gv 10:16). Geova Dio e Gesù Cristo apprezzano tantissimo tutti loro. (Confronta Sl 149:4; Ag 2:7.)
pieno di zelo per le opere eccellenti Paolo spiega che i cristiani sarebbero stati desiderosi ed entusiasti, zelanti appunto, di fare quello che è giusto e appropriato agli occhi di Dio. Le “opere eccellenti” qui menzionate includono fare del bene agli altri, manifestare il frutto dello spirito santo e soprattutto predicare la buona notizia del Regno di Dio (Mt 24:14; Gal 5:22, 23; Tit 2:1-14; Gc 1:27; 1Pt 2:12).
Continua a parlare [...], a esortare e a riprendere Paolo termina questo passaggio della sua lettera a Tito con l’invito a compiere una serie di passi via via più energici. Sapeva che, ad alcuni, un sorvegliante potrebbe dover dare solo un consiglio gentile, mentre altri potrebbero aver bisogno di esortazioni più chiare o addirittura di riprensione. Con qualcuno potrebbe essere necessario che il sorvegliante ricorra a tutti e tre questi passi. Tito avrebbe dovuto iniziare a “parlare” con la persona; poi l’avrebbe dovuta “esortare”, se non avesse ascoltato; infine l’avrebbe dovuta “riprendere”, se avesse ignorato anche quelle esortazioni. Tito poteva intraprendere questo iter senza remore, con la consapevolezza di avere la “piena autorità” di svolgere il suo incarico.
Nessuno ti tratti con disprezzo Il verbo greco usato da Paolo lascerebbe intendere che gli oppositori di Tito assumevano un atteggiamento di superiorità nei suoi confronti. Ma Tito non doveva dimenticare che, essendo stato nominato anziano, aveva “piena autorità” di esortare e riprendere chiunque avesse turbato la pace e l’unità nella congregazione. (Confronta 1Tm 4:12, dove Paolo usa un verbo simile per indicare il disprezzo che alcuni forse avevano nei confronti di Timoteo a motivo della sua giovane età.)
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Nell’impero romano la figura dello schiavo faceva parte della vita quotidiana. La legislazione romana regolava alcuni aspetti del rapporto schiavo-padrone. Gli schiavi svolgevano buona parte dei lavori nelle case delle famiglie ricche che vivevano in tutti i territori dell’impero. Cucinavano, pulivano e accudivano i bambini. C’erano anche schiavi che svolgevano attività artigianali, che venivano usati nelle cave o che lavoravano nelle fattorie. Quelli più istruiti potevano fare i medici, gli insegnanti o i segretari. In pratica gli schiavi svolgevano qualunque mansione, a parte servire nell’esercito. In alcuni casi potevano essere affrancati, ovvero resi liberi. (Vedi Glossario, “libero; liberto”.) In merito alla schiavitù, i cristiani del I secolo non presero posizione contro l’autorità governativa, né fomentarono rivolte di schiavi (1Co 7:21). Rispettavano il fatto che possedere degli schiavi fosse un diritto legale e non giudicavano chi li aveva, anche se si trattava di loro compagni di fede cristiani. È per questo che l’apostolo Paolo rimandò lo schiavo Onesimo dal suo padrone Filemone. Essendo diventato cristiano, Onesimo ritornò di buon grado dal suo padrone, assoggettandosi come schiavo a un altro cristiano (Flm 10-17). Paolo incoraggiò gli schiavi a lavorare con onestà e scrupolosità (Tit 2:9, 10).